E’ difficile stabilire quando e dove è nato il gioco del lotto: l’uomo, di qualunque paese sia e in qualunque epoca sia nato, ha sempre avuto il piacere del gioco, della scommessa. Probabilmente anche l’uomo primitivo, soddisfatti i bisogni essenziali, quelli del cibo e del sonno, amava giocare e magari anche scommettere su varie questioni della vita quotidiana.
La storia del lotto ha sicuramente origini molto antiche: in tedesco “los”, in francese “lot”, in inglese “lot”, tutte queste lingue danno lo stesso significato a questa parola, sorte.
Il gioco del lotto non è stato ideato da una persona in particolare, ma è il risultato di regole e perfezionamenti di diverse forme di scommesse che da sempre l’uomo ha avuto il gusto di effettuare sui più disparati avvenimenti.
Il lotto, così come lo conosciamo oggi, non è altro che una particolare varietà di tantissimi giochi esercitati presso popoli antichi quali greci, egizi, babilonesi e romani.
Nell’antica Roma, in occasione delle feste che celebravano Saturno, dio del tempo e del destino, i fedeli avevano la possibilità di puntare sui numeri e di vincere dei premi attraverso il meccanismo dell’estrazione.
La parola “lotto” presso i popoli germanici designava i giochi a sorte basati su una estrazione. Il vocabolo era usato per chiamare l’oggetto, simile a un disco o a un ciottolo, che veniva estratto o gettato per decidere le divisioni di proprietà.
In modo analogo, alcuni secoli dopo, ad Amersfort, non lontano da Amsterdam, gli abitanti cominciarono a sfruttare la passione per il gioco di alcuni concittadini, per alienare alcune proprietà non divisibili, arrivando a mettere in palio il lotto completo delle loro proprietà.
Questo sistema venne ripetuto molte volte, tanto che in seguito venne regolamentato come il Lotto d’Olanda.
A Venezia invece, nel XIV secolo, venne organizzata dal Consiglio dei Pregadi (l’antico Senato Veneziano), una lotteria il cui montepremi era un lotto di immobili. La lotteria venne chiamata Lotto del Rialto ed aveva un montepremi complessivo di centomila ducati.
Si poteva partecipare all’estrazione acquistando un bollettino al prezzo di due scudi ognuno.
E’ a Genova, e non a Napoli, come tutti erroneamente credono, che nacque il gioco del lotto, come si gioca ancora oggi.
Infatti proprio a Genova, tra centoventi nobili, i più capaci ed illustri, venivano estratti, due volte l’anno, cinque nominativi che subentravano ad altrettanti membri del Senato e del Consiglio dei Procuratori per i quali era scaduto il mandato elettorale. Tale sorteggio, per le importanti conseguenze che implicava, era seguito con il massimo interesse da tutto il popolo: da qui la nascita spontanea di scommesse su nomi che sarebbero stati estratti. Questo tipo di lotto, inventato dal genovese Benedetto Gentile, veniva chiamato anche “Gioco del Seminario” (dal nome dell’urna in cui si svolgeva l’estrazione).
In seguito il gioco diventò il “Lotto della Zitella”: invece che ai Senatori, i numeri erano abbinati al nome di ragazze povere e i proventi del sorteggio venivano distribuiti fra loro come dote. All’inizio il Governo della Repubblica di Genova cercò di proibire scommesse di tal genere ritenendole, in un certo senso, offensive per i candidati stessi, ma poi venne istituito un vero e proprio banco del lotto, gestito dai privati. I cittadini potevano così prevedere, puntando ovviamente alte somme di denaro, i nomi dei nobili che sarebbero stati estratti successivamente e dai quali sarebbe dipeso il futuro della Repubblica stessa. Il gioco del lotto gradatamente si diffuse un po’ in tutti gli altri numerosi stati italiani (Piemonte, Stato Pontificio, Veneto, Regno delle due Sicilie), con caratteristiche leggermente diverse da uno stato all’altro. Anche negli altri Stati italiani il gioco fu osteggiato perché considerato contrario all’etica:
nello Stato Pontificio il gioco fu a lungo bandito, al punto che nel 1728 Papa Benedetto XIII minacciò perfino la scomunica per chi vi partecipasse. Tre anni dopo, il nuovo Pontefice Clemente XII riammise il lotto concedendo i proventi in dote alle ragazze indigenti. Dal 1785 sotto Pio VI, gli utili vennero depositati nella Depositeria Generale, a libera disposizione del Papa il quale, a sua discrezione, destinava i sopravanzi in aiuto di varie opere di pietà o di utilità pubblica, come la bonifica delle paludi Pontine.
A Venezia, nel 1733, nacque una versione del gioco del Lotto simile a quella attuale, col nome di “Lotto di Genova e di Roma”, a dimostrazione che si trattava in ogni modo di un gioco d’esportazione. Questo lotto era gestito direttamente, evitando così l’appalto a terzi, e non fu posto alcun limite alle giocate. Ma nel 1745, per l’estrazione di cinque numeri, si arrivò ad una cifra così alta, che fu necessario stabilire un tetto massimo di puntata. Fu così applicata la famosa regola del castelletto, sistema che consentiva al gestore dell’Impresa del lotto di limitare il rischio del gioco. Il sistema del castelletto venne introdotto gradualmente in tutti gli Stati italiani per limitare il rischio di dovere pagare vincite più alte delle somme incassate col conseguente fallimento delle imprese pubbliche o private che gestivano il gioco.
A Milano il lotto non ebbe vita facile; i divieti si alternavano a concessioni straordinarie, grida che lo vietavano si anteposero ad editti che lo disciplinavano. Nel 1665 il Governatore della città di Milano fu costretto a concedere per venti anni la concessione del gioco a Giovanni Battista Via in cambio di metà degli utili. Così anche a Milano si capì che il lotto poteva trasformarsi per le casse dello Stato, in una formidabile macchina fabbrica-soldi.
Nonostante la concessione, il gioco ufficiale faticò comunque a decollare, tanto che il Governatore spagnolo tornò sui suoi passi revocando l’autorizzazione. Il gioco continuò a pieno ritmo, nella forma clandestina, con la differenza che i giocatori puntavano sul Gioco del Seminario di Genova.
Questa dispersione di capitali all’estero, nel marzo 1696 convinse il Governatore di Milano a cambiare nuovamente idea e a fare una nuova concessione ad una sola persona, tale Francesco Ripamonti.
Siamo nella seconda metà del secolo XVIII e il gioco del lotto era stato adottato anche in Austria, Belgio, Olanda, Prussia, Danimarca e Francia, anche se fu in seguito abolito o sostituito dal “lotto a classi”, detto Olandese perché pare sorto in Olanda all’inizio del secolo XVI. Il Lotto a classi, differisce da quello genovese in quanto , invece di accettare le varie giocate del pubblico, si pone in vendita un determinato numero di biglietti a prezzo fisso (di solito elevato, in modo che le classi povere vengano di fatto escluse dal gioco), generalmente divisi in classi cui corrispondono successive estrazione, e si provvede quindi per lo più ad imbussolare in un’urna biglietti corrispondenti a quelli venduti (col sistema per esempio di bollettari a madre e figlia).
Finalmente nel 1768 Maria Teresa d’Austria fissò nuove regole del gioco e diede la concessione alla famiglia milanese Minonzi, con la partecipazione agli utili della Regia Camera.
Una regolamentazione del Lotto quasi definitiva e moderna si ebbe dopo Napoleone, con Francesco I che emanò un decreto con il quale si disciplinava in maniera organica l’intera materia.
Nel 1871, ad unificazione avvenuta, furono scelte otto città italiana (Bari, Firenze, Milano, Palermo, Roma, Torino e Venezia) denominate comunemente ruote o compartimenti, a cui si aggiunsero, nel 1939, Cagliari e Genova.