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Bellezza Orsini

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Nel 1528, dopo circa un secolo dalla pubblicazione del Malleus Maleficarum, trattato che diede  inizio a quella che viene storicamente definita “la caccia alle streghe”, a Fiano Romano, si celebrò uno degli ultimi processi per stregoneria. Ne abbiamo notizia da Giuseppe Bertolotti ( 1842 –  1931), sacerdote e teologo, che in un suo scritto, nel 1883,  citò due processi tenuti al Santo Uffizio di Roma  nel XVI secolo, in cui le persone interrogate parlarono di Benevento e di misteriose danze sotto al noce. Uno dei due processi vedeva imputata una giovane e affascinante donna, Bellezza Orsini, accusata di stregoneria e connivenza col diavolo. Il giudice è Marco Callisto di Todi, conosciuto per la sua intransigenza.
La storia di questa donna ha tutti i presupposti giusti per portarla a doversi poi difendere da un’accusa di stregoneria: dalla classe sociale di appartenenza, al vissuto familiare, alle caratteristiche individuali di intelligenza della giovane donna.

Bellezza era  figlia di un tal Angelo e, per un triste destino comune a molte giovani donne provenienti da povere famiglie di umili contadini, viene data sposa ancora bambina, ad un uomo  violento e vagabondo, il quale l’abbandonò  a se stessa, senza mezzi di sostentamento, appena nacque il figlio Bartolomeo. Bellezza si ritrovò così sola e fu  costretta a trovarsi un lavoro. Entrò, come serva, presso la nobile famiglia Orsini,  nel loro castello di Monterotondo. Tra tutte le mansioni a cui Bellezza doveva adempiere, c’era anche quella di preparare da mangiare ad una prigioniera del castello: Lucia da Ponzano, famosa per le sue pratiche magiche e in odor di stregoneria. Lucia, in realtà, era solo una sorta di erborista: come molte streghe, preparava miscugli e tisane terapeutiche per ogni tipo di malattia, usando le erbe medicinali, che lei conosceva molto bene. La donna era stata imprigionata dagli Orsini che non intendevano consegnarla al Tribunale, perché così faceva a loro comodo: era diventata una schiava ai loro servigi, una sorta di medico personale. Unite dallo stesso triste destino, le due infelici donne diventarono amiche, al punto che Lucia cominciò ad insegnare a Bellezza l’arte delle erbe.
Fu così che la giovane donna cominciò ad applicare gli insegnamenti ricevuti dalla maestra, curando tanta povera gente che a lei si rivolgeva. Purtroppo spesso il destino gioca brutti scherzi: accadde che un giovane morì dopo aver assunto i rimedi preparati da Bellezza, suscitando il dolore e la rabbia dei parenti che fecero arrestare la giovane. Bellezza venne processata e sottoposta a terribili torture, fino ad ammettere la sua arte “magica”. A nulla valse proclamarsi innocente e dichiarare le sue buone intenzioni volte ad aiutare e guarire i malati: l’inflessibile Marco da Todi torturò ferocemente la giovane fino a farle falsamente ammettere di aver partecipato ad orge con il diavolo e di aver copulato con lui. «Andamo alla noce de Benevento e illi (lì) facemo tucto quello che volemo col peccato, renuntiamo al baptismo e alla fede e pigliamo per signore e patrone el diavolo e facemo quel che vole luj e non altro». Inoltre riporta la formula per volare: «Unguento, unguento, portace alla noce  di Benevento, per acqua e per vento e per ogni maltempo». Bellezza venne condannata al rogo, ma la notte prima della sentenza, nella sua cella decise di morire per sua stessa mano, trafiggendosi la gola con un chiodo strappato alla parete, con le sue ultime e disperate forze.

Il secondo processo riportato da Giuseppe Bertolotti, è datato nel 1552 e vede imputata Faustina Orsi, accusata di aver stregato dei bambini, uccidendoli con i suoi preparati a base di erbe officinali. Anche Faustina, che all’epoca del processo aveva ottanta anni, confessò dopo lunghe ora di terribili  torture e ripetè il solito incantesimo: «Unguento mio unguento, sopra acqua e sopra vento portami alla noce  del Benevento». La donna raccontò di essere stata a Benevento una trentina di volte durante la sua vita e di avervi cantato e ballato con altre streghe. Bellezza fornì molti più particolari di Faustina, la quale disse pure di essere pentita, tanto che negli ultimi anni non aveva più partecipato ai sabba di Benevento. Questa giustificazione però non valse a sottrarla dal rogo.  

Presso la Curia Vescovile di Benevento erano conservati circa 200 verbali di processi per stregoneria. Alcuni andarono  distrutti prima dell’arrivo delle truppe garibaldine nel 1860, per evitare che essi fossero utilizzati come materiale di propaganda anticlericale nel difficile decennio che precedette la presa di Roma .

Nell’immaginario popolare, il nome di Benevento ancora oggi è legato alla leggenda. A Navelli, paese in provincia  dell’Aquila, famoso per la sua produzione di zafferano, si narra la leggenda della  “donna gatto”. Soprannominata Chicchera, essa era la regina delle streghe. La donna gatto si recava al convegno di Benevento recitando la formula magica “Con un’ora vado e vengo alla noce di Benevento. Mentre, sotto forma di gatto, si aggirava nella città cercando di fare malefici, fu ferita ad una zampa con un coltello, rendendosi riconoscibile dalla gente del paese, perché quando riprese la forma umana, aveva ancora il coltello nella coscia.

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